- La testimonianza di fede (الشهادة Shahada)
- Le preghiere rituali (الصلاة Salat )
- Il digiuno durante il mese di Ramadan (الصوم Sawm o Siyam)
- L'elemosina canonica (الزكاةZakat)
- Il pellegrinaggio alla Mecca (الحج Hajj).
1- shahāda
La shahāda (الشهادة) è la testimonianza con cui il fedele musulmano dichiara di credere in un Dio Uno e Unico e nella missione profetica di Muhammad.La formula araba suona: Ašhadu an là ilàha illà Allàh - wa ašhadu anna Muhammada Rasulu Allàh, cioè: "Testimonio che non c'è divinità se non Dio (Allàh) e testimonio che Muhammad è il suo Messaggero" (in arabo: أشهد أن لا إله إلا الله وأشهد أن محمد رسول الله).
La shahāda (الشهادة) è la testimonianza con cui il fedele musulmano dichiara di credere in un Dio Uno e Unico e nella missione profetica di Muhammad.La formula araba suona: Ašhadu an là ilàha illà Allàh - wa ašhadu anna Muhammada Rasulu Allàh, cioè: "Testimonio che non c'è divinità se non Dio (Allàh) e testimonio che Muhammad è il suo Messaggero" (in arabo: أشهد أن لا إله إلا الله وأشهد أن محمد رسول الله).
La shahāda costituisce la condicio sine qua non per diventare musulmano, qualora la formula sia espressa con retta intenzione (niyya) e sia pronunciata in modo intellegibile di fronte a due testimoni musulmani maschi, in grado di rendere testimonianza in un giudizio islamico, ricordando che per il diritto musulmano (šarī‘a) la testimonianza virile vale il doppio di quella muliebre.
La shahāda è più volte recitata nel corso delle preghiere islamiche (salāt) ed è spesso pronunciata dai musulmani per sottolineare la propria fede in circostanze dal forte contenuto emozionale.
2- ṣalāt
Al contrario di altre religioni che inseriscono questi atti devozionali del credente tra gli atti volontari, l'Islam esige da questi che ogni giorno siano cinque le occasioni di preghiera, singola o collettiva, anche se prevede ed esorta a compiere anche altre preghiere volontarie.
Il non adempiere a quest'atto - che viene considerato uno dei cinque Arkān al-Islām comporta un'inadempienza grave al volere divino e, come tale, uno stato di peccato che per Kharigiti o Almohadi era addirittura sanzionato dall'autorità pubblica.
Le preghiere legali - obbligatorie per chi sia pubere, sano di corpo e di mente e non ne sia oggettivamente impedito - sono adempiute all'alba (ṣalāt al-ṣubḥo al-fajr), a mezzogiorno (ṣalāt al-zuhr), al pomeriggio (ṣalāt al-ʿaṣr), al tramonto (ṣalāt al-maghrib) e di notte (ṣalāt al-ʿishà), in tempi annunziati dall'adhān, l'appello alla preghiera compiuto dai muezzin sui minareti. La preghiera deve essere effettuata rivolgendosi verso La Mecca, in particolare allaKa'ba (prima della conquista del Profeta della città santa nella sua predicazione indicava la direzione di Gerusalemme).
La prima preghiera (ṣalāt al-ṣubḥ) prevede 2 rakʿa (unità di preghiera formata da una serie di precisi movimenti del corpo previsti dalla Legge islamica e dall'uso); la seconda (ṣalāt al-zuhr) ha 4 rakʿa; la terza (ṣalāt al-ʿaṣr) ne ha sempre 4; la quarta (ṣalāt al-maghrib) ne ha 3 e l'ultima (ṣalāt al-ʿishà') ne ha 4.
Ogni ṣalāt ha precisi tempi "d'elezione" (waqt, pl. awqàt), non rispettando i quali l'atto non è valido e tali momenti sono ricordati dai minareti delle moschee mercé l'appello (adhān) lanciato dal muezzin(muʾadhdhin). La preghiera dell'alba deve essere terminata tra il momento in cui appare all'orizzonte il primo barbaglìo di luce solare e il momento in cui il disco solare sia totalmente visibile.
La preghiera del mezzogiorno deve essere compresa tra il momento in cui un oggetto verticale non generi alcuna sua ombra e il momento in cui tale ombra sia lunga esattamente come l'oggetto che la proietta.
Il periodo d'elezione della preghiera del pomeriggio comincia dal momento finale della preghiera precedente e la parte finale del giorno, quando la luminosità del cielo diminuisce, col disco solare però ancora perfettamente scorgibile.
La ṣalāt al-maghrib comincia da quando il sole sia del tutto scomparso all'orizzonte e la fine della residua luminosità solare (shafàq).
La preghiera della notte infine crea qualche discussione ma, in linea di massima, è valida se si realizzi fra la scomparsa del suddetto shafāq e l'inizio del barbaglìo solare del nuovo giorno.
Tutto ciò prevede, per sopperire alla possibile non visibilità del sole per cause atmosferiche, che vi sia qualcuno in grado di determinarne i tempi in base a calcoli scientifici ed è per questo che la misurazione del tempo ha avuto nell'Islam una notevole rilevanza, così come il corretto orientamento geografico, tanto in terra quanto in mare, con lo sviluppo ad esempio dei calcoli trigonometrici.
Per la validità della ṣalāt i requisiti obbligatori sono il preciso intento (niyya) di adempiere l'atto per le sue reali finalità devozionali, lo stato di purità rituale (ṭahāra), da conseguire con il wuḍūʾ o con ilghusl, e l'orientamento verso la qibla.
3- Ramadan
Il Ramadan detto anche il Digiuno (arabo: رمضان, ramaḍān) è, secondo il calendario musulmano, il nono mese dell'anno e ha una durata di 30 giorni. La parola, in arabo, significa "mese caldo", il che fa ritenere che un tempo (quando i mesi erano legati al ciclo solare) esso fosse un mese estivo.
Il Ramadan, per la rigorosa osservanza del digiuno diurno che ostacola il lavoro e per il carattere festivo delle sue notti, costituisce un periodo eccezionale dell'anno per i fedeli islamici in tutti i paesi a maggioranza musulmana: la sua sacralità è fondata sulla tradizione già fissata nel Corano di maometto, secondo cui in questo mese Maometto avrebbe ricevuto una rivelazione dall'arcangelo Gabriele. In origine, il mese di Ramadan era, come il suo nome stesso (il 'torrido') mostra, un mese estivo; ma successivamente Maometto stesso adottò un calendario puramente lunare di dodici mesi che, perciò, cambia posizione anno per anno.
Il digiuno (sawm) durante tale mese costituisce il terzo dei Cinque pilastri dell'Islam e chi ne negasse l'obbligatorietà sarebbe kāfir, colpevole cioè diempietà massima e dirimente dalla condizione di musulmano. In alcuni paesi a maggioranza islamica il mancato rispetto del digiuno è sanzionato penalmente[1].
Nel corso del mese di Ramadan infatti i musulmani praticanti debbono astenersi - dall'alba al tramonto - dal bere, mangiare, fumare e dal praticare attività sessuali. Chi è impossibilitato a digiunare (perché malato o in viaggio) può anche essere sollevato dal precetto, però, appena possibile, dovrà recuperare il mese di digiuno successivamente.
Dal momento che lo scopo del devoto è quello di purificarsi da tutto quello che di materiale esiste nel mondo corrotto e corruttibile, e dal momento che ogni ingestione gradevole è considerata corruzione del corpo e dell'anima, è vietato anche fumare e, secondo alcuni, profumarsi perché in entrambe le azioni s'ingerirebbero sostanze estranee e da entrambe le azioni si trarrebbe un godimento illecito che distoglierebbe dagli aspetti penitenziali cui mira l'istituzione. L'ingestione involontaria di cibi, di sostanze liquide o gassose non costituisce comunque rottura di digiuno.
Vale la pena però sottolineare che l'uso del profumo nel corso del digiuno è ammesso da una parte dei dotti musulmani che vietano esplicitamente solo l'inalazione di incenso. Il motivo di questa relativa tolleranza sta forse nel fatto che il profeta Maometto amava molto i profumi e ne faceva abbondante uso per il fastidio che egli provava per i cattivi odori, tanto da vietare a chi avesse mangiato aglio ocipolla di partecipare alla preghiera collettiva del mezzodì di venerdì in moschea.
In occasione del Ramadan è anche richiesto di evitare di abbandonarsi all'ira.
Per alcuni dotti dello Sciismo, come ad esempio Najm al-Dīn al-Muhaqqiq al-Hillī, invece, se il fumo e il profumo non costituiscono violazione dell'obbligo, in caso di rapporti carnali, la prima violazione dell'obbligo di astensione nel corso del digiuno comporterebbe la fustigazione e, in caso di recidiva, addirittura la pena di morte. Varrà la pena comunque ricordare che l'opinione di un dotto, sia pur autorevole come al-Hillī, rimane pur sempre un'opinione e che l'irrogazione della pena è lungi dal costituire una realtà di fatto.
Le donne incinte o che allattano, i bambini e i malati cronici sono esentati dal digiuno e dovrebbero al suo posto, secondo le loro possibilità, fare la carità come ad esempio nutrire le persone bisognose indipendentemente dalla loro religione, gruppo etnico o dalle loro convinzioni. Le donne durante il loro ciclo o le persone in viaggio non devono digiunare ma lo possono rimandare.
Quando tramonta il sole il digiuno viene rotto. La tradizione vuole che si debba mangiare un dattero perché così faceva il Profeta. In alternativa si può bere un bicchiere d'acqua.
Dato che il calendario islamico è composto da 354 o 355 giorni (10 o 11 giorni in meno dell'anno solare), il mese di Ramadan di anno in anno cade in un momento differente dell'anno solare, e quindi man mano cade in una stagione diversa.
Il significato spirituale del digiuno è stato analizzato da molti teologi. Si attribuisce ad esempio al digiuno la dote di insegnare all'uomo l'autodisciplina, l'appartenenza ad una comunità, la pazienza e l'amore per Dio.
Varie le ricorrenze del mese festeggiate o commemorate dai musulmani. Il giorno 6 infatti sarebbe nato il nipote di Maometto, al-Husayn ibn ‘Alī. Il giorno 10 sarebbe morta la prima moglie del Profeta,Khadīja bint Khuwaylid. Il giorno 17 sarebbe stata vinta la battaglia di Badr. Il giorno 19 sarebbe stata conquistata dai musulmani la città di Mecca. Il 21 sarebbero morti ‘Alī ibn Abī Tālib e il suo discendente, l'imam sciita ‘Alī al-Ridā.
Al termine del ramadan, viene celebrato lo Id al-fitr ("festa della interruzione [del digiuno]"), detta anche la "festa piccola" (id al-saghir).
4- Zakat
Col termine zakāt (arabo: زكاة) s'intende l'obbligo religioso prescritto dal Corano di "purificazione" della propria ricchezza che ogni musulmano pubere e in possesso delle normali facoltà mentali deve adempiere per potersi definire un vero credente (vedi anche Cinque pilastri dell'Islam).
Etimologicamente collegata al concetto di “purezza”, la zakat – pagare una quota della propria ricchezza a beneficiari specificamente stabiliti – è un modo per purificarsi, così come lo è la preghiera (Corano 9:103).
Spesso tradotta con elemosina, la zakāt non ha in sé alcun elemento di volontarietà (per la vera e propria elemosina si usa il termine sadaqa), originariamente era un prelievo sui beni superflui di ciascuno e serve appunto a rendere lecita e fruibile la propria ricchezza materiale. A ciò si provvede col pagamento di una quota-parte dei propri guadagni (calcolando un minimo esente che può variare a seconda dei luoghi e dei tempi) che va, in forma di solidale aiuto, alle categorie più svantaggiate della società islamica - specialmente i poveri, gli orfani e le vedove - ma che potrà essere destinata a diversi scopi pii (quali ad esempio il sostentamento della comunità musulmana, gli aiuti per i viandanti pellegrini o l'espressione pubblica della propria fede). Ai musulmani è assolutamente vietato donare questa “beneficenza” ai non musulmani[1]
L'Islam ha per lunghi secoli provveduto a far ciò, affidando la gestione della zakāt al potere califfale o ai suoi sostituti politici locali e la sua percezione avveniva per il tramite di appositi funzionari di nomina califfale (gli "agenti", o ‘umalā’) che applicavano precisi tabellari nell'esigere quanto dovuto o in numerario o in beni prodotti.
Con la fine del califfato tale esazione è diventata nei fatti del tutto volontaria ma non è venuta meno. I fedeli musulmani infatti calcolano da sé quanto dovrebbero versare e provvedono a destinare l'ammontare a organizzazioni di beneficenza che offrono tutte le garanzie di buon impiego di quanto incassato.
Preferibilmente, la zakat va versata direttamente. Essa può essere data anche ad organizzazioni caritatevoli che se ne prefiggano la redistribuzione. L'importo della zakat è pari al 2,5% del redditonetto. Le somme affluiscono ad un fondo nazionale istituito per legge oppure alle moschee locali. La tassa è pari al 10% del reddito e vale anche per le imprese.
La stragrande massa dei fondi della zakāt raggiunge di fatto l'obiettivo fondamentale prefisso, garantito com'è da organizzazioni gestite dalle autorità religiose ufficiali dei vari paesi musulmani.
5- Hajj
Ḥajj (arabo حَجّ) è il nome del pellegrinaggio islamico canonico a Mecca e nelle sue prossimità che costituisce il quinto dei pilastri dell'Islam ( arkān al-Islām ). Il ḥajj - la cui radice trilittera <ḥ-j-j-> significava originariamente "dirigersi verso" - Esso obbliga ogni fedele che ne abbia le possibilità fisiche ed economiche a compiere, almeno una volta nella vita, i riti che compongono il ḥajj.
- Espressione della specifica e sentita intenzione (niyya) di adempiere al rito legale che si sta per compiere.
- Assunzione dell' iḥrām, o "purità rituale", conseguibile col ghuṣl, o lavacro maggiore, in grado di far conseguire laṭahāra.
- Settuplice circumambulazione in senso antiorario della Kaʿba. Preghiera islamica di 2 rakʿa davanti ad essa come pure al Maqām Ibrāhīm, formazione rocciosa usata da Abramo/Ibrāhīm per riedificare la Kaʿba dopo il Diluvio Universale, aiutato in ciò dal figlio Ismaele/Ismāʿīl. Settuplice marcia ( saʿy ) tra Safa e Marwa, a partire dalla prima collinetta, in ricordo dell'affannosa ricerca di acqua per sé e il figlio Ismāʿīl della madre Hāgar, poi miracolosamente scaturita dalla fonte di Zemzem.
- ( 8 dhu l-hijja ) Yawm al-tarwiya, o "giorno dello straripamento". Spostamento dalla Mecca in direzione di Mina, a Sud della Città Santa. La notte viene trascorsa dal pellegrino qui o nella pianura di ʿArafāt.
- ( 9 dhū l-ḥijja ) Stazione ( wuqūf ) di ʿArafāt, dove sorge la collinetta del Jabal al-Rahma (il Monte della Misericordia), luogo d'eccellenza per la sosta che si interrompe con la ifāda, repentina messa in movimento verso Muzdalifa dove sono adempiute le ṣalāt del tramonto e della sera.
- ( 10 dhū l-ḥijja ) Giorno del sacrificio ( Yawm al-nahr o al-adḥā ) a Mina. In questa occasione una vittima animale viene immolata a Dio per poi distribuirne ai vicini le carni consumandone una parte.
- ( 10 dhū l-ḥijja ) Lancio di 7 sassolini ( ramī al-jimār ), raccolti tra Mina e Muzdalifa, contro una delle 3 steli (preferita quella intermedia) che rappresentano il diavolo. Il rito commemora un episodio in cui il Diavolo (Shayṭān, Iblīs) fu cacciato a pietrate da Abramo/Ibrāhīm perché tentava il Patriarca/profeta a non obbedire all'ordine divino di immolare il figlio Isacco/Isḥāq (ma secondo altre tradizioni Ismaele/Ismāʿīl).
- Rasatura (o accorciamento per le donne) della capigliatura ( khalkh ) e fine dello stato di purità rituale.
- Ritorno a Mecca per un ṭawāf di saluto alla Kaʿba ricoperta dalla sua nuova kiswa annuale. Tale circumambulazione è chiamata ṭawāf al-ifāda.
- ( 11-13 dhū l-ḥijja ) "Giorni della gioia" ( ayyām al-tashrīq ) con scambi di visite e pasti conviviali. In tali giorni è vietato digiunare. Il rito della lapidazione può essere reiterato più volte, fino al lancio massimo di 70 pietruzze.
Tutta la cerimonia è antichissima ma in gran parte fu conservata dall'Islam, pur se adattata (i musulmani pensano che si tratti di un recupero dopo l'oblio dei tempi e le malizie dell'uomo) alle nuove finalità di un culto da dedicare al Dio Uno e Unico che nel Corano è chiamato Allāh.
Il ḥajj va obbligatoriamente compiuto nel mese lunare di Dhū l-Ḥijja, ultimo mese dell'anno islamico. In tutti gli altri mesi il rito è chiamato ʿumra, pellegrinaggio "minore" non obbligatorio che si differenzia dal ḥajj per la sua minor durata e per i suoi diversi e più semplici passaggi liturgici.
La giurisprudenza islamica permette a chi ne sia impedito fisicamente ma ne abbia la possibilità economica di delegare qualcun altro all'assolvimento dell'obbligo religioso, i cui vantaggi spirituali saranno lucrati da chi abbia provveduto al pagamento del viaggio e al mantenimento sul posto della persona incaricata. È anche possibile lasciare appositi fondi in eredità perché il rito sia compiuto in nome e a vantaggio del defunto.
Particolare è l'abbigliamento del pellegrino, che si raccomanda usi solo due pezze di stoffa non cucite di color bianco, una per cingersi i fianchi (chiamata izar) e l'altra per coprire il tronco e la spalla sinistra, ma lasciando libero il braccio destro (rida'). Le donne sono invece del tutto coperte.
Chiunque abbia adempiuto all'obbligo del ḥajj acquista un merito particolare e una ottima nomea agli occhi dei correligionari. Ha diritto talora a indossare un copricapo particolare che ricordi l'assolvimento dell'obbligo ed è insignito del titolo onorifico di Ḥājjī (pellegrino del hajj).
fonte: wikipedia